Poesie

10/2013 “Amati”
Avevo due paure
vivere e morire
subentrò l’amore
diventando tre,
chiesi lumi al cielo
un’orma da seguire
e dopo notti insonni
il cielo mi parlò:
ama più la vita
ama più anche te
la rondine che vola
il canto dei gabbiani
la luce del mattino
tutto qui è per te.
10/2013 “Emozioni”
Non servono parole
ma albe che succedano
bocche che sorridano
occhi che s’inseguano,
esser piazza per la statua
sole per la pelle
notte per le stelle,
luce che ti sveglia
sogno che ti culla
voce che ti parla,
solco dentro un vuoto
urlo, e poi silenzio
brezza, e anche vento.
Nuvole, brividi, fremiti,
onde che si scagliano,
sabbia, mai cemento,
passi che s’incontrano
ombre che si toccano
corpi che si fondono,
acqua che si bagna
urlo che sconvolge
aria che volteggia,
vortici e passioni
fame e anche sete
corsari e mai padroni.

                                                                            

 
 
09/2013 “Goccia d’estate”
Una lacrima scende
non la fermare
stella cadente
lasciala stare
desiderio spezzato
sogno proibito
notte d’estate
profumo svanito.
 
08/2013 “Il figlio del mare”
Era uomo, veniva da ovest,
portava una bandana, occhiali scuri e la vita nel cuore,
s’imbarcò in un bastimento, navigar era il suo amore,
carico d’armi, clandestini e tagliagole.
Quel giorno, accortosi del malaffare,
s’inquietò e chiese subito di sbarcare,
ma troppo vide per esser accontentato,
che il comandante intimò d’allearsi o venir crudelmente torturato.
L’uomo, che veniva da ovest,
tolse la bandana, gli occhiali scuri e sorrise col cuore,
portava riccioli biondi e occhi azzurri come il cielo,
guardò in alto, riempì i polmoni e si tuffò nel gelo,
di un oceano che affettuoso lo strinse al petto,
come fa una madre con chi porta in grembo,
tra abissi stellati e brillanti meraviglie,
conchiglie di luna, luci e smaltate faville.
Era un uomo, veniva da ovest,
portava una bandana, occhiali scuri e la vita nel cuore,
ora è un delfino, ora è felice di amare,
non pregate per lui, lui è il figlio del mare.
 
08/2013 “Piove”
Piove, ora di più,
fuori, dentro le mura,
profuma il bagnato,
sciatta, esci la sedia
sul marciapiede lucente,
che di veder passar  gente diletti fino sera,
ombre, carne e ossa, ombrelli
sfilan innanzi, e tu,
sciatta, sorriso antico brami,
d’un alba che non fu mai giorno,
e d’un giorno che non fu domani.
 
08/2013 “Un viaggio per non tornare”
Una meta per ripartire
un posto con un calore dentro
con un albero, un faro e un mare profondo,
un perdersi per ritrovarsi
un morire per resuscitare
un viaggio per non tornare.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  

                                                                                                                                                                                                                                                                          

06/2013  “L’albero”
Ritto, fronde protese al sole
alito di vento incombe
senili rami inclini e valzer di foglie parche.
Prono, un vago passante stenta
a scorrer via dall’ombra
che di chioma tua compiace.
Vacua, una donna in panca frigna
d’una vita persa in grembo
e d’assenza d’uomo giace.
Ritto, voltar su lei tu trai
con fronde protese al sole
che elisir d’amore emani.
S’alza, volto di donna vacua
che d’un sospir s’infonde
del sole che si poggia e d’occhi di passante prono.
Alba, di vite sinora ignare
d’un palpito d’amor galante
d’un vortice d’oblio, d’un librar di ali.
Ritto, torni a vegliare errante
 su storie di passanti
sullo gemmar d’amori e d’incantate trame.
“Non cercarmi “
Non cercarmi, almeno non dove tutti bramerebbero trovarmi,
se è me che vuoi per davvero,
comincia da te, da chi sei realmente,
da quello che saresti disposto a fare per uno sconosciuto come me.

“Oltre”
Mezzo metro oltre l’orizzonte,
aldilà di ciò che vedi, che conosci, che sei stata.
Mezzo metro oltre l’orizzonte,
dove vige l’assoluto, dove regna l’infinito, dove nasce chi sarai.
Mezzo metro oltre l’orizzonte,
per lanciarsi nella vita che la mente non conosce e che l’anima t’implora.

“Il risveglio”
Sentirai d’esser goccia e non il mare,
solo sabbia e non cemento, soffio e non il vento.
Sentirai d’esser sola in mezzo a tanti,
fragile tra lo spazio nel tuo tempo.
Piangerai meri sogni e lidi infranti,
lacrime di amori inesistenti.
Soffrirai, patirai, penerai, goccia fragile di vita.
Giunta all’alba del risveglio, al crepuscolo del male,
scorgerai che dimoro nel tuo grembo;
silente come polvere da sparo irrorata dalla mente e dall’intento.
La tua Anima

“Ali di carta”
Pensieri fumosi, onda del mattino,
sfuggi i deliri vaghi d’una notte,
infrangi nell’aria pensieri funesti,
rivoli di luce dai pertugi accesi;
un’anima vaga, uno spirito prega, un corpo che annega nel mare del giorno.

Passi scontati, aliti e parole,

riflessi dal mare i volti di ieri,
sguardi distratti, occhi lontani,
crepuscoli declini di bagliori lievi;
un’anima vaga, uno spirito prega, un corpo che annega nell’ombra della sera.

Luci soffuse, ombre sui muri,

angusti nel grembo di porte e pareti,
voci al tramonto, sospiri di tregua,
fulmini di tenebre e silenzi insorti;
un’anima vaga, uno spirito prega, un corpo che annega nel buio della notte.

“Le parole non dette”
Le parole non dette non muoiono mai,
maturano all’ombra di ciò che sei,
indugiando l’alba di chi sarai.

“Vorrei”
Vorrei dar voce al silenzio, parole al tuo cuore, luce ai tuoi occhi;

regalarti un sorriso da stamparti sul volto e asciugare il tuo pianto;
colorare quei giorni che sfumano al grigio e fanno star male;
rimuovere i massi che porti da tempo e non riesci a buttare.

Vorrei donarti due ali per vivere oltre e andare lontano;
indicarti quel posto dove il vento sospinge ed il sole non muore;
dove i sogni son storie da vivere in fondo senza mai disperare;
le paure son ombre che volano in fretta e non fanno soffrire.

Vorrei darti l’amore, più alto che posso, il più vero che c’è;
che insegui da tempo, che brami nel buio, quello che porto con me;
raccontarti di un uomo che cerca il tuo volto, raccontarti di me;
io che sono nessuno e che volare non posso se non sono con te.

“Lo spirito vivo”
Vivi in me duellando con la mente,
urlando ad un sordo che da troppo non sente;
la tua essenza, estratto di Dio,
alimenta il mio corpo sposandone l’Io;
vi è libero arbitrio, è scritto da tempo,
ma spezzami l’anima se io non ti sento;
poi arriva quel giorno, il duello è finito,
perdona quel sordo, quel sordo ha capito.

“Quel vetro verso il mare”
Accovacciato su quel vetro ad aspettare,
un papà troppo intento a lavorare.
E’ il respiro di un musetto verso il mare,
che appanna oltre il vetro anche il cuore.

Ora basta d’aspettare amore mio,
quel vapore non è perso ce l’ho io,
l’ho raccolto nell’ampolla del mio cuore,
per non perdere ogni goccia del tuo amore.

E domani quando grande tu sarai,
in quel vetro verso il mare ci andrò io,
dall’ampolla quel respiro coglierò,
aspettando il tuo ritorno amore mio.  

                                                                                                                                                                                                      
“Non piangere più”
Accarezzai quel viso antico, liscio come un tempo,
come se le rughe di madre avessero la magia per non farsi sentire dalla mano di un figlio.
Non piangere più ora, il bambino che poteva aiutarti è cresciuto troppo,
e l’uomo che ha preso il suo posto ha bisogno di te.
 
                                                                                                                                                                                        “Mai e per sempre”
Si abbracciarono senza toccarsi per paura di svegliarsi.
In quell’attimo tutto il tempo mancato dalla vita, negato dal destino,
infinitamente breve da sembrare interminabile,
infinitamente vero da sembrare irrealizzabile.
“La zanzara” 
Ho capito che sei una creatura di Dio, che non lo fai apposta, che lo fai per vivere,
credo anche al fatto che non te ne rendi conto, più di tanto,
ma cazzo, fatta una accontentati, passa a qualcun altro, non stare a ronzarmi attorno ancora.
Sai cosa? Comincio a credere che sei una stronza, che ci prendi gusto, che ci godi, non capisco come tu possa volare,
quelli come te meriterebbero di strisciare, al massimo di zompettare,
invece voli pure, voli e rompi le palle a chi vuole dormire, a chi domani ha da fare.
Ora accendo la luce e non la spengo finché non ti becco,
mi giro per casa come un segugio, ti dovrai posare prima o dopo,
con tutto quel peso che ti porti dietro, roba mia, tutta quella roba che mi hai succhiato.
Albeggia, di te nessuna traccia, forse dormi da qualche parte sazia,
oppure te ne stai quatta quatta a ridere di me, che in mutande e con una cosa in mano ti dò la caccia.
Cazzo la sveglia, mi lavo, mi vesto, apro la porta di casa,
mi volto e penso, vaffanculo zanzara, e ricorda di spegnere le luci quando esci.
“Il retino che non c’è”
Vorrei un retino per acchiappare le farfalle, che non faccia del male, per osservarle meglio, da vicino.
 Vorrei scoprire il loro segreto, quella polverina magica che fa volare.
 Non deve essere grande, né troppo piccolo, il retino, deve essere giusto,
 fatto di un materiale che non fa male, che non rovini le ali, che non alteri la polverina.
 Vorrei osservare i loro colori, le forme, cogliere il segreto della leggerezza,
 la formula della spensieratezza, vorrei sapere il perché si posano su un fiore piuttosto che sull’altro,
il criterio di libertà, il motivo di quelle parabole insensate lontane e vicine dal suolo.
  Senza rete, sarebbe meglio senza rete, il retino, o con buchi molto ampi, quasi assenti,
 che possano sentirsi libere, libere di scegliere se farsi osservare,
 da me, che non so volare, e da tutti quelli come me.
 

 

“Passioni”
Non servono parole, ma albe che succedano, bocche che sorridano, occhi che s’inseguano.
Esser piazza per la statua, sole per la pelle, notte per le stelle.
Luce che ti sveglia, sogno che ti culla, voce che ti parla.
Solco dentro un vuoto, urlo, e poi silenzio, brezza, e anche vento.
Nuvole, brividi, fremiti, onde che si scagliano, sabbia… mai cemento.
Passi che s’incontrano, ombre che si toccano, corpi che si fondono.
Acqua che si bagna, suono che sconvolge, aria che volteggia.
Vortici e passioni, fame e pure sete, corsari… mai padroni.